Il mondo perduto di
Vittorio De Seta, Italia, 1954-59, colore
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COMMENTO (a cura di Gabriele Pavesi)
«Da pastori a operai, da operai a consumatori, da consumatori a fantasmi.»
Daniele Atzeni è un regista documentarista sardo nativo di Iglesias, una delle zone più povere e maltrattate d'Europa. Ne "I morti di Alos", dando voce agli ultimi per restituirne dignità e memoria in una società sempre più disumana ed esprimendo come la vita fosse più povera e faticosissima ma, indubbiamente, più umana, poetica e in armonia con la natura e l'ambiente, Atzeni segue la strada tracciata dal maestro Vittorio De Seta.
Resa nella forma del mockumentary (cioè del documentario di finzione), "I morti di Alos" è una storia gotica raccontata da Antonio Gairo, unico sopravvissuto, diventato pazzo internato che rievoca i fantasmi di una Sardegna perduta. Articolo emblematico – Atzeni era già andato in questa direzione con il documentario "Sole nero" sui danni del petrolchimico nel nord della Sardegna – della spietata colonizzazione industriale, paradigma di esempi reali come il Vajont, di disastri causati da una modernità sfrenata che hanno stravolto le vite di intere comunità e la loro storia, in ultmo l'incidente nucleare di Fukushima, questo film breve ha rappresentato l’Italia come concorrente al più importante festival del cortometraggio internazionale: quello di Clermont-Ferrand.
Entrambi, Atzeni e De Seta, raccontano il rapporto tra uomo e natura prima dell'era industriale.
Vittorio De Seta, siciliano nato a Palermo, si definisce un autodidatta proveniente da famiglia agiata. Il mondo popolare lo scopre quando viene fatto prigioniero durante la II Guerra Mondiale. La sua visione corre su due binari: la miseria (l'inferno) degli esseri umani e la bellezza della pulsione di vivere.
A differenza di Atzeni, nei cortometraggi de "Il mondo perduto" il commento del narratore è assente, l'affabulazione è data solo dalle immagini, dai rumori della natura e dagli uomini e donne che comunicano spesso cantando o con linguaggi codificati.
«Riscopre le vestigia di una società antica che risplende di nobiltà perduta», ha detto di lui Scorsese, suo grande ammiratore dai tempi di "Banditi ad Orgosolo", del 1961. E ancora l'ha definito «un Antropologo che si esprime come un Poeta».
Rappresenta il mare, le miniere e i campi e le colline e i vulcani, il lavoro scandito dalle stagioni, dalla natura, il pescato, il raccolto, lo zolfo.
Quello che testimoniano di più i suoi film è il senso di comunità; nella miseria del vivere ognuno ha il suo ruolo, la sua importanza all'interno del paese, uomini, donne, vecchi e bambini: che sia nel rituale del lavoro, a casa o nei territori più isolati e inospitali, dal mare in burrasca, alle viscere della terra o alle alture gelide d'inverno.
Della selezione qui operata dal Galmozzi e da Amenic fanno parte: "
Lu tempu di li pisci spata" (1954; stretto di Messina, attesa e pesca, un ritmo a perdifiato con un magistrale montaggio velocissimo e ritmato che ci richiama sfide tra l'uomo e il mare alla Hemingway in un contesto verghiano simile a "La terra trema" di Visconti); "
Isole di fuoco" ('54; Eolie, il mare e il vulcano, la vita degli uomini in mezzo a queste forze spaventose. Insignito del premio al Miglior Cortometraggio Documentario al Festival di Cannes); "
Surfarara" ('55; zolfatara nella Sicilia centrale, il lavoro dei minatori anche qui con un ritmo di montaggio vertiginoso, una forma di linguaggio che prescinde le parole); "
Contadini del mare" ('55; tonnara di Granitola, seguendo la rotta dei tonni); "
Parabola d'oro" ('55; Sicilia centrale, falciatura e trebbiatura del grano con sistemi primitivi); "
Pastori di Orgosolo" ('58; vita di pastorizia nel duro inverno di Supramonte. Pochi anni dopo
De Seta tornerà per diversi mesi a girare il film "Banditi a Orgosolo"); "
Un giorno in Barbagia" ('58; rapporto profondo tra la terra e la sua gente, i gesti quotidiani delle donne che attendono ai tanti compiti domestici, come la produzione del pane carasau, mentre i maschi, pastori e contadini, sono lontani); "
I dimenticati" ('59; Calabria cosentina, Alessandria del Carretto è il paese più in alto e sperduto e «condannato a scomparire», isolato dalla cività e dalle strade, il mezzo per raggiungerlo è il mulo; per la festa della primavera un albero abbattuto diventa l'albero della cuccagna che simboleggia le forze vitali che rinascono e riprendono a dare frutti.
«Forse un giorno la strada romperà il loro isolamento, un isolamento che dura da secoli».)